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Imparare a dire no

Care amiche e cari amici,
questa settimana vi propongo una riflessione. Vorrei affrontare un argomento che a me spesso porta a riflettere. Viviamo in un perido storico-sociale sempre più complicato. Tra i vari problemi del nostro quotidiano, ve n’è una che mi inquieta parecchio. Sono certa allo stesso modo di molti voi. La mia esperienza di vita mi ha fatto conoscere una metamorfosi educativa raccapricciante. Come è ormai noto, sono mamma e docente, ma anche partecipante attiva della vita sociale. Mi trovo spesso a tu per tu con generazioni diverse. Bambini, adolescenti e giovani adulti. Noto quindi, con immenso rammarico, come una piccola parola formata da due semplici lettere sia da loro sconosciuta e soprattutto non accettata: “NO”. Una negazione che non viene più usata. Solo in pochi casi. Ahimé aggiungerei. Per quanto piccola è una parola che può aiutare molto. Indispensabile. Soprattutto aiuta a dare ai futuri cittadini, quei freni essenziali per non farli deragliare. Purtroppo, ormai viene sottovalutato che ciò che si costruisce oggi lo ritroviamo domani. È indubbio che l’educazione sia il grande motore dello sviluppo personale. Quindi necessario insegnarla fin da bambini. Anzi, fondamentale iniziare dai primissimi anni di vita. Purtroppo qualcosa sta cambiando. Qualcosa ci sta sfuggendo. Non riusciamo più a dire no ai nostri figli, per svariati motivi. Per paura di ferirli o perché non vogliamo apparire poco disponibili. Ancora peggio perché temiamo il conflitto. Si finisce col far ribaltare il ruolo. I genitori che stanno zitti e i figli che gli urlano contro. Ho riflettuto molto sulla difficoltà che abbiamo in generale, ma soprattutto come genitori, a dire no. Le ragioni saranno certamente di natura personale, anche se alcune trasformazioni di natura storica, sociologica e culturale hanno influito. Ovviamente non esiste un vademecum di regole da seguire, per “insegnare” la buona educazione ai propri figli con la certezza di avere risultati. Con i bambini si sa, non è possibile affidarsi a regole certe e matematiche. Ogni genitore dovrà trovare le sue modalità in base al carattere e all’età del proprio bambino/a. Sappiamo bene che un tempo, non tanto lontano, i rapporti erano regolati dal padre. Senza dubbio con impostazione di stampo autoritario: lui comandava, puniva, stabiliva senza possibilità di replica i sì e i no. Una volta finita l’epoca autoritaria, è diventato compito anche della madre. La prospettiva è diventata quella di stampo più accondiscendente: il figlio posto al centro di tutto. I continui no del padre si sono trasformati sempre più in sì. L’attenzione si trasforma così in una sorta di supremazia del figlio sul genitore. Certamente si fa più fatica a dire no piuttosto che sì. Bisogna affrontare le lamentele, le richieste estenuanti, i capricci, le tensioni, le urla. Ciò che oggi gli adulti faticano più di tutto a gestire è il tempo da dedicare ai figli. Prima di ogni cosa viene il lavoro (entrambi i genitori lavorano), gli amici, i passatempi, poi i figli. Dimenticando che la scelta di metterli al mondo avrebbe portato loro molte rinunce. Si rendono conto che ciò crea un enorme vuoto nella vita delle loro creature così cercano di colmarlo con i sì. Ogni richiesta o desiderio espresso vengono subito soddisfatti. Un modo per alleggerire la coscienza, consapevoli di non essere sufficientemente presenti con le attenzioni affettive necessarie. I ragazzi hanno bisogno di genitori consistenti, che dedichino uno spazio chiaro e definito, dove il no può essere parte consistente nel rapporto genitore e figli. Strumento importante per una sana crescita. Ė chiaro, i no che servono sono diversi a seconda dell’età dello sviluppo e rispondono a precise esigenze di individuazione. Già dalla prima infanzia bisogna abituare il bambino alla negazione, cercando di non farlo vivere come un “divieto”. Si deve abituare, in modo chiaro, immediato, ma anche rassicurante. Tra la prima e la seconda infanzia non deve essere imposto come “limite”, ma deve servire ad insegnare e a gestire la frustrazione che nasce in quel periodo particolare della crescita. Nella seconda infanzia e nella preadolescenza il no non deve essere imposto come “regola”, ma deve diventare per i ragazzi la bussola per orientarsi nel mondo. Erroneamente alcuni pensano ancora che le regole siano limiti alla libertà personale. Dimenticano che ogni volta che diamo una regola creiamo uno spazio di separazione tra ciò che è consentito fare e ciò che non lo è affinché possano integrarsi vella vita sociale senza problemi. Nell’adolescenza il no non deve essere inteso come “resistenza autoritaria”, ma deve servire ai ragazzi per aiutarli a scoprire e portare avanti il proprio progetto di vita. Da un lato si tratta di mettere dei filtri, dei vincoli, perché la spinta verso l’autonomia non si tramuti in fuga da se stessi, dall’altro di aiutarli ad accorgersi di ciò che davvero si sta facendo. È un no difficile perché si manifesta spesso attraverso la conflittualità e richiede coraggio e capacità di interrogare e interrogarsi per mettersi davvero in ascolto dei nostri figli. Non devono più esserci no imposti o calati dall’alto, ma occorre una negoziazione. È necessario vincere la “soggezione” del dire no a priori. Ciò che bisogna essere in grado di fare è trovare la giusta misura tra il no autoritario di un tempo e quello mirato di oggi. La cosa fondamentale è che entrambi genitori adottino lo stesso metodo educativo. Quando si presenta il momento del no, mai uno dei due in qualche modo lo deve tramutare in si. Questo, non solo perché è diseducativo, ma anche perché creerebbe molta confusione ai figli. Loro sono maestri nel trasformare un permesso speciale in un diritto acquisito.

Enza Nardi Autrice

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