San Benedetto del Tronto. Sabato 10 agosto alle 19, nel parco dell’hotel Sporting di San Benedetto del Tronto, Remo Croci mostrerà in estemporanea la sua creatività pittorica.
A presentarlo il critico d’arte Massimo Pasqualone, che così illustra il percorso artistico del noto giornalista e scrittore: “Remo Croci è artista in movimento, artista del mare, delle rive, degli approdi, delle mille simbologie che il mare rappresenta e da qui partiremo per illustrare il suo percorso artistico.
Il centro emozionale è legato al mare, finanche nella ricerca dei materiali che il mare rilascia sulla spiaggia, che diventano nelle mani sapienti dell’artista, installazioni, con un utilizzo sociale dell’arte, perché quello che altri buttano diviene bellezza, incanto, operazione culturale.
Il mare dà, poi, i colori, che non sono mai uguali a chi li osserva, in un’ode continua quasi preghiera per chi lo conosce e sa, come afferma Romano Battaglia, che è padre e madre.
La vita del mare/il mare della vita, come Giano bifronte, è fatta di pescatori, vele, barche, che lo solcano da sempre e sempre lo faranno, con personaggi che del mare, però, non ancora conoscono tutti i segreti. E le narrazioni plastiche di Remo Croci vanno in questa direzione, con il suo essere serbatoio inesauribile di segreti, di storia, di ricerca e di infinito. L’artista si rivolge al mare per ritrovarsi, per annegare tra le onde del tempo, per provare ad agganciare l’eternità e la verità, due elementi che il mare sa benissimo.
Le barche non sono state costruite per restare al sicuro nel porto, ma per solcare le acque calme e burrascose del vivere quotidiano. Tra le mani si stringe un timone che segue rotte sconosciute e imprevedibili ma che alla fine condurrà verso un attracco sicuro.
Ascoltiamo Madame de Staël: “Lo spettacolo del mare fa sempre una profonda impressione. Esso è l’immagine di quell’infinito che attira senza posa il pensiero, e nel quale senza posa il pensiero va a perdersi.”
Eppure, a mio avviso, anche questi elementi non sono il solo il risultato di una pura osservazione, di una messa in posa manieristica, ma divengono essi stessi correlativi oggettivi di solitudini, di una vita che, a volte, si fa pesante, soprattutto, con il carico di esperienze che si acquisisce.
Ed allora un primo approdo, che è la possibilità stessa di dire la vita, a volte, fatta di gioia e di felicità, come testimoniato da certe opere di Remo Croci, a volte, di sofferenza e dolore, perché sappiamo con Remo, che per tanti decenni lo ha testimoniato con la sua attività professionale, che l’arte ci dice anche il nero che si nasconde dietro ogni approdo, dopo la tempesta, che sembrava farci affogare: è il mare che attraversa la quotidianità, è a volte l’assurdità del granchio che, nonostante le onde, si avventura verso il mistero.
Ed ecco allora una seconda sponda, per usare una metafora continuata, dell’arte di Remo Croci: la serie No crime, con le impronte, i personaggi misteriosi, una profonda inquietudine generata dalla morte, anch’essa come il mare, nemmeno a dirlo: “chi l’affronta leggero giunge all’altra sponda; chi si appesantisce rischia di affondare” ci ricorda un memorabile Kahlil Gibran.
Alcuni personaggi sembrano onirici, rappresentano il male, quella parte dell’umanità che, come detto, Remo conosce benissimo. In fin dei conti, nell’arte del nostro entronauta emerge una speciale capacità di estroiettare emozioni e sentimenti, e l’artista, ungarettianamente palombaro dello spirito, si immerge nel porto sepolto dell’anima per riportare in superficie ricordi sedimentati.
E così questo viaggio ci sembra bello e con la condivisione, l’apertura agli altri, l’essere con,l’io-tu che diviene noi, l’approdo diventa sicuro pur nella tempesta.
È questo, forse, anche il senso delle installazioni marine, quel loro essere tese tra terra e mare e cielo, tra finito ed infinito, per quella libertà che ogni artista cerca, che ogni uomo anela e che è una continua ricerca, perché una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta.
È evidente, allora, che l’approdo più desiderato è quello della bellezza, non la bellezza dell’effimero, dell’attimo, del frammento che ricorda agli abitanti del tempo la caducità della loro esistenza, ma la bellezza che eterna, quell’idea di bellezza metafisica e di metafisica della bellezza per cui pulchrum, bonum et verum convertuntur.
Ed in questo percorso artistico convertono ed affascinano.”